VIDEOSORVEGLIANZA SUL LAVORO: direttore impresa non può vedere immagini in diretta dal suo ufficio

VIDEOSORVEGLIANZA SUL LAVORO: direttore impresa non può vedere immagini in diretta dal suo ufficio

Cons. Stato, sez. VI, Pres. Severini – Rel. De Michele, 5 giugno 2015, n. 2773

a cura di Salvatore Piro

Le imprese e gli enti pubblici possono ricorrere alle telecamere, ma devono agire nel rispetto rigoroso della normativa privacy e del divieto di controllo a distanza previsto dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori; pertanto, pur a fronte della riconosciuta liceità del posizionamento di telecamere, finalizzato alla prevenzione e alla repressione di furti e taccheggi, permane il divieto di fare visionare le immagini in diretta e dal proprio ufficio dal direttore della struttura, titolare del potere disciplinare e gerarchico”.

Il fatto

La questione sottoposta all’esame del Collegio concerne il decreto del Direttore generale delle relazioni industriali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 191 del 21 novembre 2012, con cui si disponeva la parziale riforma dell’autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro di Como del 31 luglio 2012, riferita ad un servizio di videosorveglianza, installato presso un noto ipermercato lombardo, al fine di contrastare furti e taccheggi.

Nella citata autorizzazione era confermato – quale “incaricato del trattamento per la gestione del sistema di videosorveglianza” – il direttore dell’ipermercato, ma la designazione era contestata dai rappresentanti delle organizzazioni sindacali, che proponevano ricorso gerarchico innanzi al Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Il ricorso veniva respinto in rapporto al posizionamento delle telecamere e accolto, invece, circa la “possibilità di consentire la visione in diretta delle immagini da parte del direttore del punto di vendita“. La decisione, espressa nei termini sopra indicati, era contestata dai legali della Cooperativa interessata ad installare il servizio, anche per violazione o falsa applicazione dell’art. 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro, c.d. Statuto dei lavoratori).

Con sentenza del T.a.r. per la Lombardia, Milano, il ricorso proposto veniva accolto, sottolineando come «pur non essendo consentito, a norma dell’art. 4 (Impianti audiovisivi) dello Statuto dei Lavoratori, l’uso di sistemi di controllo a distanza, a fini di vigilanza sull’attività lavorativa, fosse ragionevole contemperare il diritto dei lavoratori con le esigenze del datore di lavoro per la protezione e sicurezza nei luoghi di lavoro».

Il coordinamento fra principi veniva ravvisato, in sentenza, nella «proporzionalità delle misure adottate, rispetto alla compressione dei diritti fondamentali dei lavoratori, da valutare secondo limiti di ragionevolezza». La sottolineata proporzionalità derivava, per i giudici, dalla adozione di sufficienti precauzioni tra cui la riferita inutilizzabilità di «eventuali risultanze dei controlli per addebiti nei confronti dei lavoratori, sia in merito a contestazioni che a sanzioni disciplinari».

Avverso la sentenza proponevano appello le associazioni sindacali sulla base dei seguenti motivi: – eccesso di potere per difetto di ponderazione – violazione di legge, con particolare riferimento all’ art. 4 Statuto dei Lavoratori (l. n. 300 del 1970).

La decisione

Il Collegio è chiamato, a Palazzo Spada, a valutare una fattispecie applicativa dell’art. 4 Statuto dei Lavoratori, per il quale a norma dei suoi primi due commi: «È vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l’uso di tali impianti».

Orbene, fermo il precetto generale che vieta l’uso di impianti audiovisivi al solo fine del controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, ai commi successivi del citato art. 4 si prevedono particolari modalità procedimentali per giustificare la presenza di quelli richiesti da «esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro». La questione in esame concerne, dunque, l’identificazione dei parametri cui deve attenersi l’autorità amministrativa nel disporre l’eventuale deroga, dato che ad essere discusso non è il posizionamento effettivo delle telecamere, senza il quale il fine del contrasto a furti e rapine risulterebbe indebitamente menomato, ma quello delle relative modalità di utilizzazione delle immagini.

Ciò premesso, i giudici rilevavano nel caso di specie che la vicenda riguardava la risistemazione di un sistema di videosorveglianza per il quale, in precedenza, era stato siglato il prescritto accordo – ex art. 4, co. 2, Statuto dei Lavoratori – tra la stessa Azienda e le rappresentanze sindacali. In tale accordo si faceva riferimento alla collocazione delle apparecchiature in un «locale non accessibile ad altri, che non siano il Direttore e il Responsabile della sicurezza, che comunque di norma non vi operano». In una integrazione dell’accordo, convenuta poi dalle medesime parti indicate, era previsto che l’azienda provvedesse «alla designazione per iscritto delle persone fisiche autorizzate ad utilizzare gli impianti» tramite incaricati propri o dipendenti di aziende esterne, che «svolgono prestazioni strumentali e subordinate alle scelte del titolare del trattamento», in ogni caso rispettando determinate regole (riprese non finalizzate a riprendere il personale durante l’orario di lavoro, inquadrature casuali ed impossibilità di utilizzare le immagini per questioni disciplinari).

Il Ministero del Lavoro aveva inoltre disposto su ricorso delle organizzazioni sindacali, con l’atto impugnato in primo grado, che «la visione in differita delle riprese dovrà essere consentita a terzi autorizzati, ai rappresentanti della società, a dipendenti preventivamente individuati e autorizzati. La visione immediata delle immagini continuava l’Amministrazione – dovrà essere consentita ai predetti, ad esclusione del direttore del punto di vendita o di altro soggetto, cui sia conferito potere gerarchico e disciplinare sui lavoratori». Era comunque richiesto il rispetto della disciplina dettata dal d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (codice in materia di protezione dei dati personali): innegabile, infatti, come col mezzo della videosorveglianza, benchè non intenzionalmente, possano trattarsi dati sensibili e personali.

Legittimamente, riteneva il Collegio, aveva dunque deciso in sede di ricorso gerarchico il Ministero del Lavoro. Il tema è infatti sempre quello del rispetto del principio di cui all’ art. 4, co. 1, l. 20 maggio 1970 n. 300 che, si ribadisce, non vieta al datore di lavoro di vigilare sulla condotta lavorativa dei dipendenti, ma esclude che la vigilanza avvenga a distanza, con sistemi di videosorveglianza, utilizzati a tal scopo ed in modo surrettizio. Nello stesso senso, ma affrontando problematica differente, Cass., lav., 23 febbraio 2012, n. 2722, per la quale «è legittimo il controllo della posta elettronica aziendale del dipendente, effettuato dal datore di lavoro, quando però diretto ad accertare non l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro, ma una condotta illecita del lavoratore, dannosa per l’azienda».

Nella fattispecie, risultava in modo oggettivo che il sistema di videosorveglianza fosse stato installato per lecite finalità di tutela del patrimonio aziendale. Circostanza, questa, che legittimava l’azione. La circostanza di fatto, però, che il Direttore del punto vendita avesse costantemente, dal proprio ufficio, diretta visione di vaste aree della struttura commerciale, concretizzava tuttavia anche i presupposti della tipologia di controllo vietata dalla legge sull’attività del personale, anche oltre le intenzioni del dirigente. Il divieto, secondo i giudici di Palazzo Spada, trascendeva «il mero fatto della riconducibilità, anche involontaria, di apprezzamenti positivi o negativi sul personale alla visione delle riprese di cui trattasi», essendo fondamento del divieto stesso la tutela dei lavoratori, indipendentemente da ogni effettiva conseguenza lesiva.

Per le ragioni esposte il Collegio accoglieva l’appello, respingendo per l’effetto, e in riforma della sentenza appellata, il ricorso proposto in primo grado.


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