Violazione degli obblighi fiscali da parte della società incorporata ed effetti sul requisito della regolarità fiscale in caso di fusione

Violazione degli obblighi fiscali da parte della società incorporata ed effetti sul requisito della regolarità fiscale in caso di fusione

Consiglio di Stato, sez. III, 30.06.2016 n. 2937

IL CASO

L’A.S.L. di Bari, con procedura aperta e il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, procedeva all’affidamento della gestione in accreditamento, in regime di concessione, delle RSA presenti nella provincia di Bari.

Il Consorzio San Raffaele partecipava alla citata selezione e, all’esito della valutazione sulle offerte tecniche ed economiche, risultava prima in graduatoria, conseguentemente la Stazione Appaltante provvedeva all’aggiudicazione provvisoria. Tuttavia, avviata la fase di verifica sul possesso dei requisiti dichiarati, emergono chiari elementi in merito all’esistenza, a carico della San Raffaele s.p.a, di gravi violazioni in punto di rispetto degli obblighi fiscali, seppur riferiti, nella fattispecie, ad una delle società incorporate.

Il Consorzio è pertanto escluso dalla stazione appaltante che, per i motivi sopra esposti, non ritiene sussistente il requisito ex art. 38 c.1 lett g) D.lgs. 163/2006, e l’aggiudicazione è disposta a favore della seconda classificata, il raggruppamento temporaneo d’imprese “Proges”.

Il Consorzio San Raffaele impugna tempestivamente il provvedimento di esclusione il quale, secondo il ricorrente, è illegittimo poiché la violazione degli obblighi fiscali è addebitabile ad un soggetto giuridico incorporato in una delle società consorziate e non può trasferirsi al Corsorzio per la ragione che non vi sarebbe continuità di gestione tra le imprese incorporate e la San Raffaele s.p.a. Si poneva in luce, ancora, che la ricorrente, avuto contezza dell’esposizione debitoria, aveva avviato le procedure di regolarizzazione, nonostante le cartelle di pagamento non gli fossero state notificate.

Si costituiscono l’A.S.L Bari, l’Agenzia delle Entrate e l’A.T.I controinteressata, che propone ricorso incidentale, deducendo taluni vizi dell’offerta tecnica, che anche se singolarmente considerati, sarebbero stati in grado di inficiarne la validità.

Il TAR, con sentenza 1648 del 2015 respinge il ricorso principale, dichiarando improcedibile quello incidentale. È proposto appello al Consiglio di Stato, chiamato a stabilire se, a seguito della vicenda successoria, possa affermarsi l’intrasmissibilità della riprovevolezza della condotta morale tenuta da terzi.

I REQUISITI DI ORDINE GENERALE E LE VICENDE SOCIETARIE

Il codice dei contratti pubblici all’art. 38[1] prevede una serie di requisiti soggettivi, tradizionalmente definiti di “ordine pubblico o di moralità”, poiché attengono alla stessa idoneità per l’operatore economico di contrattare con la Pubblica Amministrazione. Qualora tali elementi non siano presenti, infatti, la partecipazione alla gara è preclusa e, qualora vengano meno in corso di gara, la stazione appaltante può legittimamente rifiutarsi di concludere il contratto. La ratio della disposizione appare di immediata comprensione: posto che, in termini economici, il valore di un appalto ha un’importante influenza sul mercato, anche in termini di PIL, è importante che vi siano delle stringenti verifiche sulla circostanza che operatori economici che contrattano con la Pubblica Amministrazione operino lecitamente nel circuito economico[2]. Qualora un’impresa, difatti, utilizzi fonti illegittime o reimpieghi di denaro illecito, potrà offrire condizioni più vantaggiose alla stazione appaltante, ma questo ha come contraltare la lesione della concorrenza, poiché gli operatori non competono con gli stessi mezzi, oltre alla considerazione che verrebbe immesso nel circuito economico lecito del denaro prezzo o profitto di attività illegittima, così inquinando il mercato[3].

Ciò che assume rilievo in questo lavoro è quali effetti abbiano, sugli oneri ex art. 38, le vicende di trasferimento d’azienda o di trasformazione della società. Se da un lato, formalmente, non vi è coincidenza soggettiva, pertanto le eventuali irregolarità verificatesi nella fase della precedente governance non dovrebbero incidere in termini negativi sul nuovo ente giuridico, d’altra parte si evidenzia come il codice appalti e la connessa ermeneutica del Consiglio di Stato predilige un’interpretazione sostanziale della normativa, evitando, così, facili elusioni degli interessi protetti dalle norme, come avviene sovente con le operazioni societarie, che possono costituire uno schermo ed un filtro rispetto ai reali soggetti portatori di ricchezza e che determinano gli indirizzi di gestione.

Sul tema di particolare interesse è l’Adunanza Plenaria, 10/2012, poiché, in punto di soggetti tenuti a rendere le dichiarazioni richieste dall’art. 38, affronta la questione in merito alla comprensione degli amministratori e direttori tecnici dell’impresa cedente in caso di cessione d’azienda. Sinteticamente, in tale sede si osserva che, ubi commoda ibi et incommoda: pertanto, se il cessionario si avvale dell’azienda del cedente per la partecipazione ai bandi di gara, così dovrà sopportare le conseguenze in termini di eventuali responsabilità, altrimenti l’elusione della normativa sarebbe esposta alle singole operazioni societarie. Tale principio è mutuabile anche in caso di fusione, posto che la ragione giustificatrice è la medesima. In ogni caso, anche se in riferimento alla lett c) dell’art. 38, si formula il principio della cd. dissociazione: segnatamente, qualora la società incorporante o il cessionario provino che tra la precedente gestione e quella attuale vi sia una netta cesura, la condotta degli organi di governance della precedente gestione deve risultare priva di rilievo.

Tali principi, seppur sviluppati sotto un aspetto parzialmente diverso, trovano precise conferme nelle sentenze richiamate della pronuncia in esame, ossia Consiglio di Stato sez. VI, 7 agosto 2015 n. 3910, ord. 18 dicembre 2013, n. 5032; T.A.R Toscana, Firenze, sez. II, 28 febbraio 2014, n. 409.

LA SOLUZIONE DEL CONSIGLIO DI STATO

Passando, pertanto, al nucleo argomentativo della sentenza in analisi, il Consiglio di Stato, aderendo al maggioritario orientamento in precedenza citato, osserva che con la modifica del diritto societario del 2003, la vicenda societaria di fusione conduce ad un mutamento formale di una preesistente organizzazione societaria, non la creazione di un nuovo ente distinto. Si evidenzia che ai sensi dell’art. 2504 bis c.c. il soggetto risultante della fusione assume tutti i diritti e gli obblighi delle partecipanti, da ciò consegue che le obbligazioni di pagamento delle imposte tributarie pregresse si trasferiscono alla società incorporante, come confermato anche dall’art. 172 c. 2 TUIR. Collegandosi all’Adunanza Plenaria citata nel precedente paragrafo, si rileva come la vicenda evolutiva modificativa dello stesso soggetto giuridico non ne modifica l’identità, ma ne muta solo l’assetto organizzativo, valendo così il principio ubi commoda ibi et incommoda.

Aggiunge il Consiglio di Stato che la società incorporante può essere individuata come un soggetto composito in cui proseguono la loro esistenza le società partecipanti all’operazione, tali imprese costituiscono parte integrante dell’impresa risultante nonché dell’appalto, non potendosi individuare come soggetti terzi.

In conclusione, tutti i requisiti dell’art. 38 dovranno essere verificati sia per la società incorporante che per le incorporate, poiché non ha luogo una vicenda successoria nella quale potrebbe venire in rilievo il principio della intrasmissibilità della riprovevolezza morale della condotta tenuta da terzi[4].

POSSIBILI SVILUPPI A SEGUITO DEL D. lgs. 50/2016

In via preliminare, è opportuno osservare che, nel ristrutturato sistema normativo dei contratti pubblici, vige il divieto di gold plating, ossia di introdurre oneri di regolamentazione ulteriori rispetto a quelli previsti dalle Direttive, con l’unica eccezione della la possibilità per gli Stati di introdurre, a tutela di interessi fondamentali, livelli di regolamentazione ulteriori.

Dal punto di vista nazionale, si evidenzia che nella Legge delega, il divieto in esame ha valenza non assoluta, poiché si consente al governo la possibilità di derogare motivatamente, dandone atto nell’AIR, in presenza di situazioni particolari. In questa linea interpretativa, il Consiglio di Stato, in sede di parere[5], inquadra il divieto di gold planting come facente riferimento a oneri di regolazione fini a sé stessi, oneri burocratici non strettamente necessari per assicurare la tutela di alcuni valori costituzionali fondamentali: pertanto, ove i maggiori livelli di regolamentazione fossero adeguati, strumentali e necessari alla tutela di tali valori, la previsione di ulteriori livelli di regolazione non integra la violazione del divieto.

Il Consigli di Stato, occupandosi di alcuni aspetti della disciplina del codice, in particolare dei requisiti morali per partecipare alla gara, ha suggerito, rispetto all’originaria versione, l’introduzione di ulteriori criteri, in parte recepiti dal nuovo art. 80 che sostituisce l’art. 38.

Ciò che rileva maggiormente ai fini del presente contributo è una delle caratteristiche del nuovo codice, ossia la sostituzione dei requisiti di partecipazione “statici” con un sistema elastico e dinamico, nel quale ha particolare rilievo la reputazione di cui gode l’impresa, come desunta da una serie di indici anche ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati.

Segnatamente, sono requisiti di valutazione flessibili ed ancorati al cd. rating di impresa: così, ogni operatore economico riceve una valutazione sulla sua reputazione, valutazione che dipende non solo da atti formali come le condanne o altre violazioni contributive e fiscali commesse, ma anche da altri elementi la cui concreta individuazione è rimessa alla determinazione dell’ANAC.

Per quanto attiene a tale ultimo punto, si specifica che ai sensi dell’art. 83 c. 10, è istituito presso l’ANAC, che ne cura la gestione, il sistema di rating d’impresa: a seconda di come l’impresa si comporta riceve un punteggio che valuta la sua affidabilità professionale, la quale non è non ancorata a elementi predeterminati. Così, l’operatore economico, pur non essendo previste cause ostative predeterminate, può essere considerato con un basso rating, il che può precludere la possibilità di partecipare alla gara. È così evidente il passaggio dal sistema statico a quello dinamico.

L’elemento di assoluta novità risiede nel fatto che tra i vari requisiti reputazionali è menzionato il rating di legalità, che già il nostro ordinamento conosce e demanda a AGCM, ma non si esaurisce in esso, in quanto sono presi in considerazione i precedenti comportamentali delle imprese genericamente intesi, con riferimento, ad esempio, al rispetto dei tempi e dei costi in esecuzione di contratti precedenti e all’incidenza che il contenzioso ha avuto sul precedente contratto.

La formulazione previgente, su tale ultimo aspetto, si riferiva alla pendenza del contenzioso ma il Consiglio di Stato ha evidenziato come questo collegamento rischiasse di penalizzare le imprese solo perché esercitanti il loro diritto di difesa, così ne aveva proposto la sostituzione con altra formula volta a valutare negativamente non la pendenza del contenzioso in quanto tale, che di per sé non è sintomatico di inaffidabilità di impresa, ma di penalizzare l’abuso del processo, le liti temerarie, pretestuose. Tale suggerimento è stato accolto solo in parte, facendosi oggi riferimento all’incidenza del contenzioso sulla sorte del precedente contratto. Chiaramente, queste riflessioni generali dovranno attendere l’intervento dell’ANAC con le linee guida: si può già sottolineare, tuttavia, che il rischio, se non viene calibrata nel senso detto dal Consiglio di stato, è quello di apparire in contrasto con le garanzie costituzionali che spettano al diritto di difesa.

[1] Una completa raccolta di giurisprudenza sugli artt. 38 e ss., d.lgs. n. 163 del 2006 v. FERRARI Gi., Il nuovo codice degli appalti pubblici, Roma, II ed., 2011

[2] Per una puntuale analisi GRECO, Le cause soggettive di esclusione, in GAROFOLI – SANDULLI, Il nuovo diritto degli appalti pubblici nella Direttiva 2004/18/CE e nella legge comunitaria 62/2005, Milano, 2005, 577 e ss.

[3] In tema, vedi FANTINI, Le cause soggettive di esclusione dalle gare pubbliche, in Dir. Amm. sostanziale, in GAROFOLI – TREU (a cura di), Il libro dell’anno del diritto, Treccani, 2012

[4] In senso conforme cfr. Cons. St., sez. III, 15 luglio 2011, Cons. St., sez. VI, 9 maggio 2011, n. 2662 che esclude l’applicazione della disposizione qualora la fusione o incorporazione comporti l’estinzione del soggetto incorporato

[5] Parere  del 1 aprile 2016, n. 855 reso dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato


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