Violenza contro le donne e prostituzione: la validità del consenso delle prostitute
Se e quando il compimento di un atto di disposizione del proprio corpo è sufficientemente volontario?
Esistono delle zone d’ombra che assumono contorni rilevanti, richiedendo una disamina dell’eventuale correlazione tra il reato di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis c.p. e la validità del consenso dell’individuo alla prostituzione.
In un’epoca odierna in cui il tema della violenza contro le donne assume una pregnante rilevanza, si rende necessario prendere in considerazione il soggetto che, scevro da determinate pressioni ambientali, decida volontariamente di divenire un c.d. sex worker.
Analizzando l’opimo riconoscimento del senso comune in tale ambito, suffragato da basi giuridiche, gli atti sessuali – anche se non convenzionali – possono essere ritenuti leciti nella misura in cui vi sia il consenso dei partecipanti.
La Corte EDU, nella sentenza Tremblay c. Francia del 2007, ha infatti affermato che la prostituzione è un’attività incompatibile con i diritti e con la dignità umana, solamente nel caso in cui essa sia oggetto di coercizione o inganno da parte di un terzo.
Laddove l’individuo sia dotato di abilità mentali, di razionalità, di conoscenza dei fatti rilevanti (necessaria a decidere delle opzioni a sua disposizione), ovvero sia sufficientemente libero dalle pressioni sopracitate e limitanti della propria vita, il consenso del sex worker dovrà considerarsi valido e libero da coercizione.
Ciò anche in chiave di un’interpretazione costituzionalmente orientata, ed invero con la sentenza n. 561 del 1987, la Corte Costituzionale ha affermato che la “sessualità rappresenta uno degli essenziali modi di espressione della persona umana” e che “il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l’art. 2 Cost. impone di garantire”.
In particolare, nell’ambito specifico della prostituzione straniera, non tutta la prostituzione può essere ricondotta alla c.d. tratta transfrontaliera. Esistono infatti casi di sex workers che decidono di spostarsi autonomamente nelle città europee e di stabilizzarsi.
Va dunque riconosciuto spazio alla prostituzione volontaria e, in chiave ottica di una coscienza proba, deve essere quindi preso in considerazione il ventaglio di possibilità giuridico-normative consequenziali all’argomento.
E’ vero infatti che gli approcci normativi che si contendono il campo sono molteplici, ma è anche vero che il nostro ordinamento giuridico ha spesso aderito ad un approccio misoneista, da una parte (non) trattando l’argomento come un tabù, dall’altra attuando alcune politiche filo-proibizioniste, le quali appaiono talvolta forzate rispetto all’evoluzione socio-culturale della compagine europea.
La Suprema Corte di Cassazione, in molteplici occasioni, ha affermato che la donna che decida liberamente e spontaneamente di offrire prestazioni sessuali a pagamento, opera in un ambito riconosciuto come legittimo, come anche legittima è riconosciuta la prostituzione. Le condotte penali normativamente riconosciute, vengono dunque delimitate nelle figure più ricorrenti in ambito giuridico, quali il favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione. Il reato di favoreggiamento della prostituzione in particolare, sotto il profilo oggettivo, si concretizza in qualunque attività idonea a procurare condizioni favorevoli per l’esercizio della prostituzione, mentre sotto il profilo soggettivo, è sufficiente la consapevolezza di agevolare il commercio altrui del proprio corpo senza che abbia rilevanza il movente dell’azione (Cass. Pen., sez. III, sentenza 20 novembre 2013, n. 6373).
Il reato di sfruttamento della prostituzione si realizza invece col trarre una qualsiasi utilità dall’attività sessuale della prostituta e richiede il dolo specifico, ossia la cosciente volontà del colpevole di trarre vantaggio economico dalla prostituzione, mediante partecipazione di guadagni ottenuti con tale attività; con la puntualizzazione che il reato non si configura quando la corresponsione dei proventi avvenga per giusta causa e nei limiti dell’adeguatezza, cioè per servizi leciti, sempre che vi sia proporzione tra servizio e compenso (Cass. Pen., sez. III, sentenza 11 gennaio 2000, n. 98).
Orbene, è dunque necessario porre in essere una distinzione fra prostituzione volontaria e prostituzione forzata: nella prima, la persona che decide di prostituirsi sceglie di vendere il proprio corpo libera da coercizione; nella seconda, la prestazione sessuale non è eseguita liberamente, ma dietro minaccia, violenza o altra forma di coercizione di un terzo.
Tali affermazioni, pur apparendo pleonastiche, sono necessarie per tracciare una linea di confine tra un’attività socialmente stigmatizzante e una condotta penalmente punibile.
In rapporto specifico al delitto di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis c.p., dal punto vista oggettivo, in tema di violenza sessuale vanno considerati atti sessuali quelli che siano idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità della persona o ad invadere la sfera sessuale con modalità connotate dalla costrizione, sostituzione ingannevole di persona, abuso di interiorità fisica o psichica (Cass. Pen., sez. III, sentenza 18 ottobre 2013, n. 2074).
Dal punto di vista soggettivo invece, ai fini della configurabilità del delitto di violenza sessuale, è sufficiente il dolo generico consistente nella coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della vittima non consenziente, mentre è irrilevante l’eventuale fine ulteriore (Cass. Pen., sez. III, 21 maggio 2015, n. 21020).
Pertanto, una situazione in cui è obiettivamente presente il consenso del soggetto come quella dei sex workers, non è compresa nel novero delle situazioni giuridicamente rilevanti. Di conseguenza, non sarà sillogisticamente punibile penalmente qualsiasi situazione che non sia priva del consenso giuridicamente rilevante del soggetto.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.