Violenza sessuale: il ginecologo deve sempre richiedere un consenso esplicito alle pazienti
Cass. pen., sez. III, 6 maggio 2019, n. 18864
La vicenda. La Corte d’appello di Torino, in riforma della sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Novara, assolveva un ginecologo dalle accuse relative a violenze sessuali commesse in danno di tre pazienti. Secondo la contestazione, l’imputato avrebbe approfittato della sua qualità di medico ginecologo per operare atti di masturbazione su tre donne attraverso stimolazione vaginale con le proprie dita.
Presentava ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Torino deducendo l’erroneità della sentenza poiché l’imputato avrebbe <<agito con la sola consapevolezza e volontà di curare le pazienti, ritenendo che il loro consenso alla particolare manovra fosse implicito o, addirittura, non necessario perché l’atto era dovuto>>.
La decisione. Innanzitutto, la Suprema Corte ha chiarito che <<ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, non è necessario che la condotta sia specificamente finalizzata al soddisfacimento del piacere sessuale dell’agente, essendo sufficiente che questi sia consapevole della natura oggettivamente “sessuale” dell’atto posto in essere volontariamente, ossia della sua idoneità a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dallo scopo perseguito>>.
Inoltre, è stato pure chiarito che <<deve essere esclusa la possibilità di accertamenti e trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questi è in grado di prestare il suo consenso e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità>>.
Pertanto, risulta inferibile che il medico, nell’esercizio di attività diagnostica o terapeutica, può lecitamente compiere atti incidenti sulla sfera della libertà sessuale di un paziente solo se abbia acquisito un consenso esplicito ed informato dallo stesso, o se sussistano i presupposti dello stato di necessità, e, inoltre, che il professionista deve immediatamente fermarsi in caso dissenso del paziente.
Gli Ermellini hanno, poi, rilevato che l’errore del medico in ordine all’esistenza di un obbligo giuridico di acquisire il consenso del paziente prima di procedere al compimento di atti incidenti sulla sfera di autodeterminazione della libertà sessuale di quest’ultimo, a differenza di quello sulla sussistenza, in concreto, di un valido consenso, costituisce errore su legge penale, a norma dell’art. 5 c.p., che non esclude il dolo, ed esclude la colpevolezza solo in caso di ignoranza inevitabile.
In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione, disponendo il rinvio ad altro Giudice.
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