Violenza sessuale: le Sezioni Unite sul concetto di “abuso di autorità” di cui all’art.  609 bis c.p.

Violenza sessuale: le Sezioni Unite sul concetto di “abuso di autorità” di cui all’art. 609 bis c.p.

Sommario: 1. I fatti – 2. Inquadramento normativo – 3. L’ordinanza di rimessione – 4. L’approdo interpretativo delle Sezioni Unite

 

1. I fatti 

Con la sentenza n. 27326, depositata in data 1 ottobre 2020 (ud. del 16/07/2020), le Sezioni unite della Suprema Corte hanno espresso il seguente principio di diritto “l’abuso di autorità cui si riferisce l’art. 609 bis, comma primo, cod. pen. presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l’agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali”.

La pronuncia in esame trae origine dalla condotta di un insegnante di inglese che impartiva lezioni private in un garage, imputato di aver costretto, mediante abuso di autorità, due alunne infraquattordicenni a compiere e a subire atti sessuali.

Il giudice di primo grado qualificava i fatti ai sensi dell’art. 609 quater, quarto comma c.p., escludendo l’applicazione della circostanza aggravante di cui al n. 1) del medesimo articolo.

La Corte d’Appello riformava la sentenza di primo grado riqualificando i fatti ai sensi degli artt. 609 bis primo comma c.p. e 609 ter c.p., rideterminando in aumento il trattamento sanzionatorio.

Ricorreva dunque per cassazione l’imputato, articolando, a mezzo del proprio difensore, plurimi motivi di impugnazione. In particolare, con il quarto motivo di ricorso, egli lamentava l’erronea applicazione della legge penale, sostenendo che i fatti dovessero essere qualificati come atti sessuali con minorenne ex art. 609 quater c.p.. A tal riguardo, la difesa asseriva che la Corte d’Appello avrebbe dovuto aderire all’orientamento di legittimità – fatto invece proprio dal Giudice di prime cure – secondo cui l’abuso di autorità mediante il quale può essere consumato il delitto di violenza sessuale, presuppone in capo all’agente una posizione autoritativa di tipo necessariamente formale e pubblicistico, in mancanza della quale deve trovare applicazione la diversa ipotesi dell’art. 609 quater c.p.

2. Inquadramento normativo 

Prima di soffermarsi sulle argomentazioni e i principi di diritto affermati dalle Sezioni Unite, occorre un preliminare inquadramento della normativa di riferimento, oggetto di un profondo mutamento a partire dalla legge 15 febbraio 1996 n. 66. Essa, in primis, ha modificato la collocazione sistematica dei reati sessuali [1 ] – che il Codice Rocco relegava nella categoria dei reati contro la moralità pubblica e il buon costume – riconducendoli nell’ambito dei delitti contro la persona, sottolineando in tal modo l’acquisita consapevolezza che la liberà sessuale costituisce un fondamentale corollario della libertà personale.

Il legislatore del 1996 ha dunque introdotto, nell’ambito del Titolo XII (Dei delitti contro la persona), gli articoli da 609 bis a 609 decies c.p., nei quali sono disciplinati i reati sessuali.

In particolare, ai fini che ci occupano, occorre segnalare che la legge 66/1996 ha unificato le precedenti fattispecie di cui agli artt. 519, 520 e 521 c.p. – relative, rispettivamente, alla violenza carnale, alla congiunzione carnale commessa con abuso della qualità di pubblico ufficiale e agli atti di libidine violenti – riconducendole nell’ambito del nuovo art. 609 bis c.p..

Tale articolo, sotto la rubrica “violenza sessuale”, sanziona plurime condotte, quali gli atti sessuali violenti, gli atti sessuali commessi mediante abuso di autorità, gli atti sessuali con abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica della vittima e gli atti sessuali commessi mediante inganno da sostituzione di persona [2].

La nuova legge, dunque, raccoglie sotto un unico articolo – come fattispecie autonome e sanzionate con identica pena – ipotesi eterogenee, che hanno in comune l’atto sessuale coartato, poiché carpito con violenza, abuso o inganno [3].

In forza della previsione di cui all’art. 609 bis c.p., è possibile quindi distinguere due forme di violenza sessuale: una violenza sessuale posta in essere mediante violenza, minaccia o abuso di autorità (c.d. costrittiva) sulla persona offesa; e una violenza sessuale posta in essere mediante induzione.

Particolarmente importante, ai fini del presente contributo, è il concetto di abuso di autorità: le Sezioni unite della Corte di cassazione, infatti, con la sentenza in commento, sono intervenute a dirimere la controversa questione relativa alla corretta interpretazione di tale nozione.

In generale, l’abuso di autorità presuppone che l’agente si avvalga di una posizione di superiorità o preminenza nei confronti del soggetto passivo, il quale si viene a trovare in uno stato di soggezione.

Specificamente alle Sezioni unite si poneva il tema circa la possibilità di ricondurre nell’ambito dell’abuso di autorità non solo l’abuso di pubblica autorità, ma altresì quello di autorità privata. Dunque, la questione di diritto per la quale il ricorso era stato rimesso al Supremo consesso nella sua più autorevole composizione, era la seguente: “se, in tema di violenza sessuale, l’abuso di autorità di cui all’art. 609 bis, primo comma, c.p. presupponga nell’agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico o, invece, possa riferirsi anche a poteri di supremazia di natura privata di cui l’agente abusi per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali”.

2. L’ordinanza di rimessione 

Con ordinanza n. 2888/2020 la terza sezione della Corte di cassazione rimetteva il ricorso alle Sezioni unite rilevando che, in relazione all’esatta interpretazione del concetto di abuso di autorità di cui all’art. 609 bis comma 1 c.p., si riscontravano due contrapposti orientamenti giurisprudenziali.

L’ordinanza ripercorreva i principi di diritto espressi dai vari arresti sul punto.

Un primo indirizzo, inizialmente sancito dalla pronuncia delle Sezioni unite n. 13/2000 inerente ad un caso molto simile a quello che ci occupa – e al quale poi ha dato seguito anche la giurisprudenza successiva [4]  – afferma che l’abuso di autorità presuppone necessariamente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico, in mancanza della quale, qualora la persona offesa sia un soggetto minore, deve trovare applicazione la diversa fattispecie di cui all’art. 609 quater c.p..

In particolare, le argomentazioni della Corte muovono dalla constatazione che la fattispecie di cui all’art. 609 bis c.p. ha sostituito quella prevista dagli abrogati artt. 519 primo comma, 520 e 521 c.p., con la conseguenza che l’abuso di autorità debba intendersi coincidente con l’abuso della qualità di pubblico ufficiale di cui al previgente art. 520 c.p..

Nel caso trattato, era stata esclusa la configurabilità della violenza sessuale mediante abuso di autorità in una fattispecie in cui l’agente, in qualità di insegnante privato, aveva compiuto atti sessuali con un minore degli anni sedici a lui affidato per ragioni di istruzione ed educazione, ritenendo dunque corretta la decisione del giudice di merito, che aveva qualificato il fatto ai sensi dell’art. 609 quater c.p..

Alla decisione delle Sezioni unite si conformavano successive pronunce della giurisprudenza di legittimità; in particolare, con la sentenza n. 32513 del 20025, la Corte di cassazione –pronunciandosi in tema di abuso sessuale posto in essere da un insegnante privato in danno di una minorenne – opera una distinzione tra la fattispecie di violenza sessuale ex art. 609 bis c.p. e quella di atti sessuali con minorenne di cui all’art. 609 quater c.p.. Orbene, secondo la Suprema corte, quest’ultima fattispecie esclude espressamente la violenza sessuale mediante abuso di autorità, poiché essa riguarda atti sessuali compiuti senza costrizione con un soggetto minorenne, il cui consenso è
però viziato (e dunque invalido) in conseguenza del rapporto di parentela, educazione, istruzione, convivenza che lega la persona offesa all’agente e che differisce nettamente dal rapporto autoritativo a cui si riferisce il primo comma dell’art. 609 bis c.p..

Altri successivi arresti hanno ribadito la natura formale e pubblicistica della posizione autoritativa dell’agente e hanno specificato che “l’abuso di autorità consiste nella strumentalizzazione del proprio potere, realizzato attraverso una subordinazione psicologica, tale per cui la vittima viene costretta al rapporto sessuale, risolvendosi, pertanto, in una vera e propria costruzione” [6].

In altra conforme sentenza la Corte ha affermato esplicitamente che “l’espressione abuso di autorità che costituisce […] una delle modalità di consumazione del reato previsto dall’art. 609 bis c.p., non include la violenza sessuale commessa abusando della potestà di genitore o di altra potestà privata” [7].

A tale indirizzo se ne contrappone un altro più recente, il quale, richiamando la prevalente dottrina sul punto, propende per un concetto di abuso di autorità più ampio, comprensivo di ogni relazione di supremazia derivante da autorità, anche di natura privata, di cui l’agente abusi per costringere la vittima a compiere o a subire atti sessuali. È stata, dunque, ritenuta corretta la qualificazione come violenza sessuale ex art. 609 bis, comma primo c.p., della condotta di atti sessuali commessi dall’agente con abuso di autorità in danno della figlia minorenne della propria convivente [8].

Anche la strumentalizzazione della relazione genitoriale – evidentemente relazione di carattere privatistico – costituisce elemento costitutivo del reato di violenza sessuale.

La Suprema Corte a sostegno di tale tesi adduce argomenti di carattere letterale e di carattere sistematico.

Il dato letterale è costituito dal fatto che il legislatore ha già utilizzato l’espressione abuso di autorità quale aggravante comune del reato ai sensi dell’art. 61 n. 11 c.p.. Tale articolo ricomprende, accanto alla “qualifica” de qua, altre ipotesi di aggravamento della condotta – quali l’abuso di relazioni domestiche, di relazioni d’ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione o di ospitalità –tutte caratterizzate dall’essere qualificate quali relazioni di diritto privato. Al n. 9 del medesimo articolo si parla invece di “abuso di poteri connessi” alla qualifica di pubblico ufficiale o servizio.

Quanto all’argomento sistematico, quando il legislatore ha inteso considerare una posizione autoritativa di tipo pubblicistico lo ha espressamente indicato, come nel caso dell’art. 608 c.p., il quale fa chiaramente riferimento al “pubblico ufficiale” e come si desume altresì dall’abrogato art. 520 c.p. che sanzionava la congiunzione carnale commessa con abuso della qualità di pubblico ufficiale.

Con la modifica intervenuta con la legge del 1996 l’espresso riferimento alla qualifica di pubblico ufficiale non è stato ripetuto nella formulazione del nuovo art. 609 bis c.p. e ciò dimostra il chiaro intento del legislatore di offrire una tutela più ampia alle vittime di violenza, sanzionando qualsiasi persona che, dotata di autorità pubblica o privata, strumentalizzi la sua posizione per costringere il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali. Al pari della violenza sessuale commessa con violenza e/o minaccia, anche nell’ipotesi di abuso di autorità la volontà della vittima viene coartata. Si parla in tali ipotesi di violenza sessuale c.d. “costrittiva” (commessa cioè mediante violenza, minaccia o abuso di autorità) che si differenzia dalla condotta c.d. “induttiva” di cui ai numeri 1) e 2) del comma secondo dell’art. 609 bis c.p..

Si è obiettato che una siffatta interpretazione, qualora la persona offesa sia un soggetto minorenne, renda sostanzialmente inapplicabile l’ipotesi di cui all’art. 609 quater c.p., come rilevato dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 2681/20129 in conformità alla tesi restrittiva.

Tuttavia, con successive pronunce10, la Suprema Corte ha rilevato che, in primis, occorre fare riferimento al dato letterale: nell’art. 609 bis c.p. si parla di “abuso di autorità”, mentre nell’art. 609 quater si parla invece di “abuso di poteri” ed evidentemente con tale ultima locuzione si richiede una più diretta ed effettiva strumentalizzazione della posizione rivestita dall’agente.

Oltre a tale dato, occorre poi tenere presente l’elemento qualificante il reato di cui all’art. 609 quater c.p. – che lo distingue nettamente dalla violenza sessuale – ossia il consenso. La condotta integrante il delitto atti sessuali con minorenne, infatti, si caratterizza per l’assenza di costrizione, richiesta, invece, per la configurazione dell’ipotesi delittuosa di cui all’art. 609 bis comma primo c.p..

Orbene, a fronte dei contrapposti orientamenti giurisprudenziali sopra descritti, la terza sezione riteneva opportuno rimettere il ricorso alle Sezioni unite.

4. L’approdo interpretativo delle Sezioni unite 

Prima di pronunciarsi sulla questione a loro sottoposta dalla sezione rimettente, le Sezioni unite, dopo un excursus dei contrapposti orientamenti giurisprudenziali sul punto, hanno innanzitutto individuato il significato concreto da attribuire alla locuzione abuso di autorità, asserendo che la differente formulazione dei primi due commi dell’art. 609 bis c.p. evidenzia come l’autore del reato incida sul processo formativo della volontà della persona offesa, coartandola.

Nella violenza sessuale c.d. “costrittiva”, il soggetto passivo pone in essere o subisce un evento non voluto poiché l’agente, coartandone la capacità di autodeterminazione, ne annulla o ne limita la capacità di azione e/o di reazione; nella violenza sessuale c.d. “induttiva”, invece, l’agente persuade la persona offesa a sottostare ad atti che diversamente non avrebbe subito o compiuto, strumentalizzandone la vulnerabilità al fine di soddisfare le proprie pulsioni sessuali.

Tali situazioni nettamente differenti rendono evidente come l’abuso di autorità di cui al primo comma sia esclusivamente quello che determina una vera e propria sopraffazione della volontà della persona offesa che di fatto si risolve in una costrizione, in una condizione di sudditanza materiale o psicologica.

L’abuso di autorità, peraltro, si differenzia anche dalla minaccia preordinata alla costrizione, menzionata sempre al primo comma dell’art. 609 bis c.p., la quale determina un’efficacia intimidatoria diretta sulla vittima costretta a compiere o a subire atti sessuali. La costrizione che scaturisce dall’abuso di autorità, invece, trae origine dal contesto relazionale di soggezione tra agente e vittima determinato dal ruolo autoritativo rivestito dal primo. Tale contesto determina in capo alla persona offesa la mancanza di alternative di scelta rispetto al compimento o all’accettazione dell’atto sessuale che consegue, dunque, alla strumentalizzazione della posizione di supremazia.

Ciò premesso, le Sezioni unite rilevano, in primis, che ai fini dell’interpretazione del concetto di abuso di autorità, non è determinante il richiamo alle disposizioni del codice penale abrogate. La collocazione del delitto di violenza sessuale tra i reati contro la libertà personale e la sua natura di reato comune, rendono evidente che il legislatore ha inteso ampliare l’ambito di applicazione della nuova fattispecie, svincolandola da ogni riferimento alla figura di pubblico ufficiale di cui al previgente art. 520 c.p..

In secondo luogo, il Supremo consesso, nella sua più autorevole composizione, ritiene corretta l’osservazione secondo cui il legislatore, laddove ha inteso riferirsi a soggetti che rivestono una posizione autoritativa di tipo pubblicistico, lo ha fatto espressamente come nel caso dell’art. 608 c.p..

Quanto poi alle possibili interferenze tra art. 609 bis e art. 609 quater c.p., le Sezioni unite confutano le argomentazioni poste a sostegno della tesi restrittiva facendo leva sia sulla presenza della clausola di riserva ex art. 609 quater c.p. e sulla diversa formulazione delle due norme, sia confermando che l’elemento differenziale tra i due reati è il consenso, in quanto l’art. 609 quater c.p., a differenza dell’art. 609 bis c.p., non richiede la costrizione del minore, il quale è ritenuto incapace di esprimere un valido consenso in ragione dell’età o del rapporto che lo lega all’agente. Il bene giuridico tutelato dal reato di atti sessuali con minorenne, infatti, non è la libertà di autodeterminazione del minore, ma la sua integrità psicofisica.

Alla luce di tutte le considerazioni di cui sopra, pertanto, le Sezioni unite hanno ritenuto, dimostrando di non condividere la tesi restrittiva sul punto, che l’abuso di autorità cui si riferisce l’art. 609 bis comma primo c.p. presuppone una posizione di supremazia, anche di fatto (dunque non necessariamente derivante dalla legge) e di natura privata, che l’agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali.

Tale ampliamento del concetto di autorità, peraltro, continua la Corte, risulta del tutto coerente con gli scopi perseguiti dal legislatore del 1996, che con l’introduzione dei reati sessuali si poneva l’obiettivo di assicurare la massima tutela a tutti i soggetti che, per caratteristiche personali o in ragione del contesto relazionale che li vede coinvolti, vengano costretti o indotti a subire o a compiere atti sessuali.

 

 

 

 

 


Note:
1 Cfr. l’articolo I reati sessuali, pubblicato sulla rivista online Nuovefrontierediritto (consultabile su https://www.nuovefrontierediritto.it/i-reati-sessuali/).
2 Cfr. F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte speciale I. Delitti contro la persona, 2017, Wolters Kluwer, pag. 402, il quale
sottolinea che “l’art. 609 bis unifica quattro eterogenee ipotesi: 1) gli atti sessuali violenti (art. 609 bis/1); 2) gli atti
sessuali abusivi, con abuso di autorità (art. 609 bis/1); 3) gli atti sessuali abusivi, con abuso delle condizioni di inferiorità
fisica o psichica della vittima (art. 609 bis/2 n.1); 4) gli atti sessuali ingannatori, con inganno da sostituzione di persona
(art. 609 bis/2, n. 2)”.
3 Cfr. F. MANTOVANI, ult. op. cit., pag. 402.
4 La nozione “ristretta” di abuso di autorità è stata ribadita in Cass. pen. Sez. 3, n. 47869 del 4/10/2012, Rv. 253870; Cass. pen. Sez. 3, n. 40848 del 18/07/2012; Cass. pen. Sez. 3, n. 16107 del 24/03/2015, Rv. 263333.
5 Cass. pen. Sez. 3, n. 32513 del 19/06/2002, Rv. 223101
6 In questo senso Cass. pen. Sez. 3, n. 36595 del 22/05/2012, Rv. 253389.
7 Cass. pen. Sez. 3, n. 2861 del 23/01/2012.
8 Cfr. Cass. pen. Sez. 3, n. 2119 del 3/12/2008, dep. Il 20/01/2009, Rv. 242306. Nello stesso senso anche Cass. pen. Sez. 3, n. 23873 dell’8/04/2009, Rv. 244082.
9 Cfr. Cass. pen. n. 2681 del 23/01/2012.
10 Cfr. ex multis, Cass. pen. Sez. 3 n. 19419 del 19/04/2012, Rv. 252768; Cass. pen. Sez. 3 n. 36704 del 27/03/2014 Rv.
260172.

 


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