Violenza sessuale: non ha valore scriminante il mancato dissenso del coniuge convivente ai rapporti sessuali

Violenza sessuale: non ha valore scriminante il mancato dissenso del coniuge convivente ai rapporti sessuali

Sommario: 1. Definizione, tipicità e modalità di consumazione del reato – 2. Questione di legittimità: la decisione della Suprema Corte (Cass. pen., Sez. III, sent. 15.09.2023, n. 37828) – 3. Conclusioni

 

1. Definizione, tipicità e modalità di consumazione del reato

Disciplinato all’art. 609 bis c.p. il reato di violenza sessuale punisce chiunque, mediante l’uso di minaccia, violenza o abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali.

Pertanto, la norma in esame, è posta a tutela oltre che del mero benessere psicofisico del soggetto, anche della sua libertà sessuale e di autodeterminarsi per quanto concerne la propria sfera sessuale e tutti gli atti che la compongono.

Atteso ciò, il costringimento del soggetto passivo risulta essere il presupposto necessario al fine della sua integrazione, condotta che si potrebbe sostanziare in atti di violenza fisica sulla persona o sulle cose, minacce, intese come l’incussione di timore e cosciente volontà di ledere l’altrui libertà psichica (es. prospettare un male ingiusto), abuso di autorità privata, ovvero sfruttare una oggettiva posizione di superiorità gerarchica (es. rapporto tra titolare e dipendente) o anche in abuso di autorità pubblica (es. nei confronti di un soggetto detenuto).

Con il termine “atti sessuali”, il legislatore intende tutte quelle azioni (congiunzioni carnali o semplici comportamento libidinosi violenti) che risultino chiara espressione di un appetito o desiderio sessuale ed altresì idonee ad invadere la sfera sessuale della persona offesa mediante costringimento. 

Se ne deduce quindi, che affinché non si configuri la fattispecie di reato de quo, il consenso del soggetto passivo è una volontà che deve necessariamente perdurare per tutta la durata del rapporto.

Procedibile a querela della persona offesa (tranne per i casi di cui al comma quattro dell’ art. 609 septies c.p., per i quali è procedibile d’ufficio), la violazione di tale norma è punita con la reclusione da sei a dodici mesi ed alla stessa soggiace anche quanto statuito al suo secondo comma; tuttavia, solo nei casi di minore gravità, ovvero per quelli in cui la compressione della libertà sessuale della stessa risulti minima in considerazione del fatto in sé, la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.

Alla luce di quanto detto, all’interno della norma si potrebbero distingue due tipologie autonome ma coesistenti di “violenza”, cioè quella per costrizione di cui si è trattato sopra e che comprende minacce ed abuso di autorità, e quella per induzione, nella quale rientrano tutte quelle condotte abusanti della condizione di inferiorità fisica o psichica della vittima (anche la sostituzione mediante l’inganno ad altra persona).

Per quanto concerne la consumazione del reato risulta opportuno ricordare una massima della Suprema Corte di Cassazione Penale, Sez. III ovvero la n. 19599 del 10.05.2023, nella quale gli Ermellini si pronunciavano in ordine al “mancato consenso” e alla mancata “manifestazione di dissenso” da parte della persona offesa, ovvero: “integra l’elemento oggettivo del reato di violenza sessuale non soltanto la condotta invasiva della sfera della libertà ed integrità sessuale altrui realizzata in presenza di una manifestazione di dissenso della vittima, ma anche quella posta in essere in assenza del consenso, non espresso neppure in forma tacita, della persona offesa, come nel caso in cui la stessa non abbia consapevolezza della materialità degli atti compiuti sulla sua persona» inoltre si precisava che: “nei reati contro la libertà sessuale, il dissenso è sempre presunto, salva prova contraria, pertanto a non punibilità degli atti sessuali compiuti in mancanza di un esplicito dissenso della vittima, porrebbe in capo ad essa porre in capo ad essa l’onere di resistere all’atto sessuale che le viene imposto, quasi gravasse sulla vittima una “presunzione di consenso” agli atti sessuali da dover di volta in volta smentire, ciò che si risolverebbe in una supina accettazione di stereotipi culturali ampiamente superati”.

2. Questione di legittimità: la decisione della Suprema Corte (Cass. pen., Sez. III, sent. 15.09.2023, n. 37828)

In tema di violenza sessuale ad opera del coniuge convivente, la S.C dichiarava infondato il ricorso proposto dal difensore di Tizio, marito di Mevia, chiarendo ulteriormente che: “il mancato dissenso ai rapporti sessuali con il proprio coniuge, in costanza di convivenza, non ha valore scriminante quando sia provato che la parte offesa abbia subito tali rapporti per le violenze e le minacce ripetutamente poste in essere nei suoi confronti, con conseguente compressione della sua capacità di reazione per timore di conseguenze ancor più pregiudizievoli, dovendo, in tal caso, essere ritenuta sussistente la piena consapevolezza dell’autore delle violenze del rifiuto, seppur implicito, ai congiungimenti carnali.”

3. Conclusioni

La sentenza in esame pone ulteriori spunti di riflessione su una fattispecie particolarmente grave e delicata, soprattutto se si considera, come nel caso di genere, il rapporto di convivenza tra autore e soggetto attinto dalla condotta lesiva.

Proprio in ragione di tale vincolo coniugale, seppur il legislatore all’art. 143 c.c. abbia disciplinato i diritti e i doveri reciproci dei coniugi, stabilendo che con il matrimonio il marito e la moglie acquistino i medesimi diritti e assumano i medesimi doveri, derivando dallo stesso l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione. 

Pertanto, è assolutamente da escludere che vi sia un diritto assoluto del coniuge, in quanto tale, al compimento di atti sessuali intesi come mero sfogo all’istinto, tanto più se i rapporti avvengono in un contesto di sopraffazioni, minacce e violenze.

Se ne conviene altresì, che tali condotte costituirebbero l’esatto opposto rispetto al sentimento di stima, rispetto e reciproca solidarietà sancito dal principio di diritto cui sopra, in cui, il rapporto sessuale, si pone e si dovrebbe porre consensualmente in una delle sue tante manifestazioni; concetto ribadito anche in (Cass. pen., Sez. III, 12 luglio 2007, n. 36962).

Nel caso di specie, appare chiaro come sia sufficiente il rifiuto, sebbene implicito, ai fini della configurazione del reato di cui all’art. 609 bis. c.p, risultando del tutto irrilevante la circostanza del vincolo coniugale e dei relativi obblighi o della convivenza.

Lo scrivente conclude rilevando che, seppur le relazioni sessuali rientrino pacificamente tra l’alveolo dei diritti inviolabili e tutelabili costituzionalmente, da intendere come chiara manifestazione di libertà individuale e di autodeterminazione, tuttavia, solo da un lato la libertà sessuale può essere assimilabile a tale interpretazione, d’altro canto infatti, è innegabile che si parli di una libertà di fatto e quindi verosimilmente indisponibile, occorrendo, al fine di garantirne la tutela, di una vincolante e reciproca collaborazione tra soggetti consenzienti.

 

 

 

 

 

Bibliografia 
Romano Bartolomeo, “I delitti contro la sfera sessuale della persona”, Giuffrè, 2022
Felicioni Paola; Sanna Alessandra., “Contrasto a violenza e discriminazione di genere”, Giuffrè. 2019
Bellini Giovanna,“Criminologia dei sex offender”, Giuffrè, 2019
Bartolucci Daniela; Parziale Carmela, “La violenza sessuale”, Giuffrè, 2012
Moretti Barbara, “La violenza sessuale tra conoscenti”, Giuffrè, 2005
Dolcini Emilio, Gatta Gian Luigi, “Codice penale commentato”, Ipsoa, 2015.

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