Violenze domestiche e visioni sostanzialistiche delle condizioni di procedibilità
La tipicità degli atti processuali è ordinata in funzione di garanzia per le parti. Tale principio di carattere generale trova temperamenti operativi se e solo se debba deflettere in luogo di situazioni giuridiche maggiormente meritevoli di tutela. È dietro questo inquadramento dogmatico che può opportunamente rileggersi la recente sentenza della Cassazione Penale, sezione IV, 17 Novembre 2017, n. 52538.
Nella citata pronuncia, la Corte ha respinto le doglianze di parte relative a impugnazione di legittimità con la quale il ricorrente voleva vedere sanzionate le decisioni di merito che ritenevano quale condizione di procedibilità la comunicazione della notizia di reato, in cui si attestava la volontà del coniuge nello sporger querela, a seguito dei contestati reati di lesioni colpose e omissione di soccorso.
Non è questa sede per ricostruire il contesto sostanziale entro cui le ipotesi di reato si inveravano a danno del coniuge, che lasciano propendere, però, per una situazione di convivenza familiare di (almeno sopraggiunta) intollerabilità. Né è destinato a sembrare più pertinente il rilievo presentato dal ricorrente, che reiterava l’ovvia e in principio non negabile considerazione per cui la querela non appare in alcuna misura equiparabile alla comunicazione della notizia di reato.
Certamente diversi sono gli elementi formali dei due atti e non meno concettualmente autonomi sono gli scopi sostanziali che l’ordinamento processuale vi riconnette (qui esemplificando, sulla prima A. Di Tullio D’Elisiis, Il dibattimento nel processo penale. Profili ermeneutici, Padova, 2017, pp. 196 e ss.; sulla seconda C. Delle Fave, Manuale di polizia giudiziaria. Procedure, atti da redigere, modalità operative, Santarcangelo di Romagna, 2016, pp. 34 e ss.): la querela è atto di natura negoziale, espressiva di una volontà che trova specifico riconoscimento nella dinamica processuale, ergendosi appunto a condizione di procedibilità; la comunicazione della notizia di reato, invece, immette nel procedimento la notizia medesima e il fatto che recepisca la volontà punitiva di parte sembra una conseguenza fattuale (non sempre necessaria) più che un requisito costitutivo.
Imputare la pronuncia della Corte di immotivata estensione del favor querelae non coglie del tutto nel segno, però, allorché si consideri la particolare delicatezza del luogo entro cui la dichiarazione era resa (struttura ospedaliera, con assistita in attesa di trasferimento per intervento chirurgico alle lesioni successivo).
E, invero, ciò pare confermato anche dall’indirizzo interpretativo attraverso cui la giurisprudenza di legittimità ha desunto le intenzioni della persona offesa da atti di querela redatti dalla polizia giudiziaria – sia laddove ciò abbia un fondamento tecnicamente più preciso, ad esempio esprimendosi la parte sulla riserva di costituzione di parte civile, sia nel caso in cui tale volontà, per quanto inequivoca nella sostanza, sia poi stata resa in forme linguistiche tuttavia grossolane (il voler provvedere al più presto, come da Cassazione Penale, sezione V, 18 Ottobre 2013, n. 6333).
Nonostante l’impostazione preferibile sia, perciò, sempre quella di meglio accogliere il caso in cui vi sia un atto di parte qualificato come denuncia querela, nel caso in esame appare prudentemente convalidabile l’orientamento espresso, che non può non aver tenuto conto delle particolari condizioni entro cui il reato era commesso, esponendo la persona offesa quantomeno al metus del difficile contesto abitativo (sui profili sostanziali, v. già L. Ciaroni, Illeciti tra familiari e violenza domestica in Italia, in R. Torino, a cura di, Illeciti tra familiari, violenza domestica e risarcimento del danno, Milano, 2006, pp. 108-109).
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Domenico Bilotti
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