Voluntary disclosure e scudo fiscale in ottica AML
Lo Scudo Fiscale 2009, introdotto dal Governo Berlusconi con L. 194/09 (c.d. “Mille proroghe”), rappresenta una sanatoria per illeciti di natura penale e tributaria, concernenti la detenzione di capitali all’estero non dichiarati ai fini fiscali entro il 31 dicembre 2008.
Tale procedura consente di inibire l’attività punitiva giudiziale penal-tributaria, mediante l’ esborso di una somma pari al 5% del tatundem.
La peculiarità dello Scudo 2009 era costituita dall’anonimato garantito dalla adesione alla procedura, a fronte del pagamento, e da una minor invasività nei confronti del destinatario, nell’ottica del quantum.
La Voluntary Disclosure invero (legge n. 186/2014) è una procedura che presenta caratteristiche antinomiche rispetto al proprio predecessore. Il tratto che con maggior nitore discrimina tale ultimo istituto è sicuramente la trasparenza dell’intero iter, con un disvelamento dell’identità del contribuente.
Ulteriore elemento fondante è dato dal pondus del pagamento, che prevede in via ancillare all’integrale erogazione delle imposte dovute, un importo a titolo di pagamento della sanzione (che rappresenta un quid minus rispetto alla sanzione applicabile di base).
Requisito indefettibile della procedura è la ricostruzione delle somme, eseguibile sia in maniera analitica che forfettaria, con ricadute a seconda della scelta sulla quantificazione della somma. A corredo il contribuente dovrà presentare esaustiva documentazione (Relazione del commercialista), dalla quale l’Autorità potrà comunque individuare elementi di persistente rilevanza penale della condotta (la nuova VD difatti non prevede una copertura totale di tutti gli illeciti penali).
In ottica antiriciclaggio, i due istituti si atteggiano invece in maniera identica: il MEF (provvedimento del 12 gennaio 2015) ha difatti specificato che l’adesione alle procedure non esime in alcun modo i soggetti obbligati agli adempimenti previsti dalla normativa antiriciclaggio, ivi incluso il dovere di segnalare le operazioni di rientro di capitali esteri all’UIF, ritenute sospette.
Ciò a maggior ragione era configurabile per lo Sudo Fiscale, che garantendo l’anonimato del contribuente, lasciava tout court agli intermediari il compito di attenzionare e gestire il cliente.
Sostanzialmente, contraltare della efficacia esimente penalistica parziale della procedura di VD, è l’imposizione all’intermediario di non valutare asetticamente l’operazione di rientro di capitali, bensì di espletare a monte tutti gli obblighi di Adeguata Verifica normativamente prescritti, compreso l’obbligo, a valle del processo, di segnalare laddove si rilevino quegli elementi di “sospetto” ex art. 35 D. 90/17.
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Avv. Claudio Tarulli
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