Brevi cenni al trust sham

Brevi cenni al trust sham

Fin dalla sua introduzione nel nostro ordinamento, avvenuta con la ratifica della Convenzione dell’Aja del 1985 mediante la legge n. 364 del 1989, il trust ha profondamente diviso la dottrina italiana, suscitando inizialmente più di un moto di diffidenza.

Il merito di aver aperto la strada al trust in Italia è comunemente attribuito agli studi, non solo giuridici ma anche storici, di Maurizio Lupoi, che seppe, con finezza intellettuale, sollevare il velo d’ignoranza calato su questo istituto di matrice anglosassone.

Nonostante l’avallo ricevuto dalla giurisprudenza di legittimità – proprio sulla scorta delle argomentazioni scientifiche di Lupoi – il trust interno ha incontrato non poche resistenze. Non sono mancate, anzi, critiche pungenti nei confronti di quei giuristi, etichettati dallo stesso Lupoi come “non vedenti”, che si sono ostinati a non oltrepassare i confini del diritto continentale.

Prima di procedere ad un’analisi del fenomeno patologico del trust sham, appare opportuno delineare le caratteristiche strutturali dell’istituto, la cui origine affonda le radici nel Medioevo, sviluppandosi all’interno dei Tribunali di Equity inglesi.

Il trust si colloca nell’ambito dei fenomeni gestori: mediante esso, i beni di un soggetto, il disponente, vengono separati dal suo patrimonio per perseguire specifici interessi, a favore di determinati beneficiari o per la realizzazione di uno scopo.

La gestione dei beni è affidata al trustee, che ne diviene formalmente titolare, sebbene i beni segregati permangano nell’ambito del patrimonio del trust.

Elemento fondamentale, mutuato dal diritto inglese, è che il negozio istitutivo del trust non è un contratto. Non a caso, la Convenzione di Roma del 1980 sul diritto applicabile alle obbligazioni contrattuali, all’art. 1, par. 2, lett. g), esclude espressamente il trust dal proprio ambito applicativo: il perfezionamento del trust prescinde dalla partecipazione del trustee e dei beneficiari.

Il trust si configura, dunque, come negozio giuridico unilaterale, programmatico, recettizio – salvo il caso del trust autodichiarato – tipicamente a titolo gratuito, tendenzialmente irrevocabile, e a causa variabile.

Quanto alla natura tipica o atipica dell’istituto, oggi la questione può ritenersi superata: la Corte di Cassazione ha chiarito che il trust, lungi dall’essere atipico, deve considerarsi tipico, seppure in modo sui generis, essendo il prodotto della combinazione tra la Convenzione dell’Aja e la legge italiana di ratifica.

Per sua natura, il trust è uno strumento straordinariamente flessibile, adattabile a finalità quanto mai variegate: dalla pianificazione del passaggio generazionale della ricchezza, alla tutela dei soggetti vulnerabili, fino alla gestione e liquidazione di patrimoni aziendali.

Tuttavia – e qui il futuro ci invita alla prudenza – la mancanza di una tipizzazione legislativa interna ha talvolta favorito usi distorti dell’istituto, generando un’ingiustificata diffidenza, che rischia di confondere il bisturi con il coltello del bandito.

Si impone, pertanto, una netta distinzione tra l’uso fisiologico e l’abuso patologico del trust: non è il trust a dover essere demonizzato, ma coloro che lo utilizzano in modo illecito.

In questa prospettiva si colloca la riflessione sui trust sham o ripugnanti.

L’espressione – apparsa per la prima volta nel 1967 dinanzi a una Corte d’Appello inglese, in riferimento ad un’operazione di sale and lease back – è oggi utilizzata per indicare quelle fattispecie in cui il trust è meramente simulato, al solo scopo di ottenere una segregazione patrimoniale fraudolenta a danno di creditori o terzi.

Nei trust sham, infatti, il disponente non intende realmente trasferire poteri e responsabilità al trustee, ma persegue esclusivamente finalità elusive.

Tali strutture, mirando a fini fraudolenti e contrari all’ordine pubblico, non sono meritevoli di riconoscimento ai sensi dell’art. 13 della Convenzione dell’Aja e, conseguentemente, non possono trovare cittadinanza nel nostro ordinamento.

In un’epoca in cui la gestione del patrimonio richiede strumenti sempre più sofisticati e duttili, è essenziale che il trust sia valorizzato per le sue potenzialità lecite e non oscurato dagli abusi: sarebbe un errore confondere il bisturi del chirurgo con il pugnale dell’assassino.


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