La giustizia riparativa vissuta dagli imputati nel 2025
Oggi giorno, sentiamo spesso e volentieri numerosi commenti sulla c.d. “giustizia riparativa”, forniti sia da esperti del diritto che non, per tale ragioni, appare necessario porsi degli interrogativi al fine di comprendere appieno il valore di tale fattispecie penalistica.
La giustizia riparativa definita “Restorative Justice” è un modello complementare alla tradizionale giustizia penale, fondato tra: l’autore e la vittima sotto la guida di un mediatore.
Con tale modello, si persegue la riparazione del male inferto con il reato attraverso la ricomposizione del conflitto, superando la logica vendicativa che ricade sulla grande macchina della giustizia.
Un attuale e recente modifica è stata introdotta con l’importante Riforma Cartabia ( con l’introduzione del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, ex artt.42 e ss.)
Tale disciplina fornisce una ben precisa definizione circoscritta della fattispecie che qui ci occupa:
“ogni programma che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni rilevanti del reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore” ( sancito dall’ex art. 42 co. 1 lett. A- del d.lgs. n. 150/2022).
Tale argomentazione è riconosciuta non solo all’interno del nostro ordinamento giuridico italiano ma bensi’ in tutto l’ambito dell’Unione Europea.
Da non confondere e sovrapporre alle condotte riparatorie , che da tempo hanno rilievo nel diritto penale.
E’ uno strumento utilizzato in grado di concorrere con la pena verso obiettivi comuni, operando nel luogo della pena- promette di far tacere o di ridurre la domanda di punizione che si leva dalla vittima e dalla comunità nei confronti dell’autore del reato.
Utilizzata per molti reati, come per esempio, per i reati perseguibili a querela, in cui tale strumento può rappresentare un’alternativa alla giustizia penale, difatti la partecipazione del querelante a un programma di giustizia riparativa concluso con esito riparativo comporta la remissione tacita della querela.
Vari sono i principi enucleati all’interno del d.lgs n.150/2022, primo fra tutti, partecipazione attiva e volontaria, il consenso: che deve essere tassativamente libero spontaneo e consapevole.
Altri principi riguardano il rapporto tra autore e vittima del reato in cui si prevede che gli interessi di entrambi gli attori coinvolti trovino “equa riparazione” .
Inizia così, per il soggetto che intende intraprendere il percorso della giustizia riparativa, un iter ben preciso, da far valutare agli organi competenti, l’accesso- eventualmente concesso- inizia all’interno di strutture pubbliche designate: i Centri gratuiti di giustizia riparativa, tale circostanza non è aperta solo all’autore della vittima del reato, ma anche ad un più ampio ventaglio di soggetti che direttamente o indirettamente sono coinvolti nella vicenda si prevede quindi cosi’ il coinvolgimento della comunità necessario al fine di ricostruire i legami dell’autore e della vittima del reato e la responsabilizzazione dell’autore.
La giustizia riparativa può riguardare qualsiasi tipo di reato.
Inoltre, i programmi di giustizia riparativa possono poi essere avviati quando il procedimento penale, pur iniziato, si è interrotto, con una sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere ciò può verificarsi perché è venuto meno una condizione di procedibilità o per estinzione del reato.
Va sottolineato, infine, che l’invio dell’imputato e della vittima a un centro per la giustizia riparativa può avvenire anche nella prima fase del procedimento e cioè durante la fase delle indagini preliminari.
Il fulcro di tale programma: la mediazione; il dialogo riparativo; ogni atro programma dialogico.
La figura dei mediatori è di fondamentale importanza in quanto essi svolgono un ruolo centrale, sono degli esperti del settore adeguatamente formati ed accreditati direttamente dal Ministro della Giustizia.
Se da una parte, sino ad ora, abbiamo affrontato quelli che sono gli aspetti positivi di tale fattispecie dall’altra appena necessario affrontare quelli che sono gli aspetti negativi, in quanto i buoni propositi sono molteplici, ma è bene tenere presente che all’interno della società in cui viviamo, a volte, si hanno delle ricadute penalistiche.
La ratio è quella di riparare il male arrecato dal reato mediante ricomposizione.
Molto interessante e laboriosa appare la decisione assunta dagli Ermellini, con la sentenza n. 41133 del 2024 in cui la Suprema Corte di Cassazione ha acceso il dibattito sull’accessibilità – ai programmi di giustizia riparativa nella fase di esecuzione della pena.
I giudici, accogliendo il ricorso del Ministero della Giustizia, hanno annullato senza rinvio la decisione del Magistrato di Sorveglianza, che aveva ammesso presso la Casa circondariale gli operatori di una onlus per valutare la praticabilità di un programma di giustizia riparativa richiesto da un detenuto in regime di art. 41 bis della L. 26 luglio 1975, n. 354.
Tre erano i motivi del ricorso proposto dal Ministero:
a) violazione di legge in relazione all’art. 41 bis pen. rispetto agli artt. 43 e 44 del d.lgs.150/2022, per incompatibilità ontologica tra il regime detentivo speciale e la normativa della restorative justice, poiché quest’ultima contrasta con le ragioni di ordine e sicurezza della prima;
b) violazione di legge in relazione agli artt. 4 bis e 15 bis pen., poiché, in caso di esito positivo della procedura riparativa, i benefici penitenziari previsti dalla legge sarebbero preclusi per i condannati per i delitti elencati nell’art. 4 bis ord. pen.;
c) violazione di legge in relazione agli artt. 17 ord. pen. e 61, 62, 63, 64, e 92 del d.lgs. 150/2022, poiché l’attuale mancata istituzione dei centri di giustizia riparativa e il fatto che i referenti della onlusnon siano stati ancora legittimati a operare nell’Istituto non consentirebbe l’esecuzione del provvedimento impugnato.
La Corte accoglie il ricorso, ma per ragioni diverse da quelle proposte dal ricorrente.
Per i supremi giudici, infatti, entrambi i provvedimenti – l’ordinanza impugnata e il provvedimento di primo grado – sono viziati da una palese violazione di legge, in quanto non hanno considerato che «secondo il disposto dell’art. 44, comma 2, d.lgs. n. 150 del 2022, ai programmi di giustizia riparativa, “si può accedere in ogni stato e grado del procedimento penale, nella fase esecutiva della pena e della misura di sicurezza, dopo l’esecuzione della stessa”. Essendo il ricorrente ancora detenuto in esecuzione di pena egli non può essere ammesso ad alcun programma di giustizia riparativa sintantoché la pena sarà in esecuzione, indipendentemente dal regime detentivo a cui è sottoposto».
La ratio decidendi della pronuncia stabilisce un «principio di diritto stupefacente»: alla giustizia ripartiva non si può accedere durante l’esecuzione penale.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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