Mobbing e straining nella recente giurisprudenza
Sommario: 1. Premessa – 2. Cosa si intende per mobbing? – 3. Una nuova frontiera: lo straining – 4. Profili processuali. Qualificazione della condotta come mobbing o straining – 5. Conclusioni
1. Premessa
L’art. 2087 c.c., norma cardine del sistema della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, impone al datore di «adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».
Da tale obbligo discende anche il divieto di comportamenti che possano creare un ambiente di lavoro ostile e tale da incidere sull’integrità psico-fisica dei dipendenti, come le condotte mobbizzanti poste in essere dal datore di lavoro, dal superiore gerarchico o dal collega della vittima.
Accanto al mobbing la giurisprudenza recente riconosce un’altra tipologia di illecito la cui prova è senz’altro più agevole: si tratta dello straining.
Esaminiamo, pertanto, nel dettaglio i più recenti approdi della Suprema Corte in materia.
2. Che cosa si intende per mobbing?
In assenza di una definizione legislativa, la giurisprudenza qualifica il mobbing come un insieme di reiterati comportamenti vessatori, protratti nel tempo, animati da un intento persecutorio e tali da determinare la mortificazione e l’emarginazione del dipendente con conseguente lesione del suo equilibrio psico-fisico.
Ai fini della configurabilità della condotta lesiva appena descritta rilevano alcuni elementi la cui prova è a carico del lavoratore. In particolare, come spesso ribadito anche di recente dalla Cassazione, il dipendente che denunci la ricorrenza di un’ipotesi di mobbing deve non solo allegare l’inadempimento datoriale e provare il titolo del suo
diritto, il danno eventualmente subìto e il nesso causale fra detto inadempimento e il pregiudizio lamentato, ma è tenuto a dimostrare anche il menzionato intento persecutorio (si veda in tal senso l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 29400 del 14/11/2024).
In sostanza, gli elementi che configurano il mobbing sono:
– la molteplicità dei comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo sistematico e prolungato contro il dipendente;
– l’evento lesivo della salute psico-fisica;
– il nesso eziologico tra la condotta mobbizzante e il danno all’integrità psico-fisica;
– l’elemento soggettivo ossia l’intento persecutorio: i comportamenti datoriali devono essere il frutto di un disegno persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione (ex multis Cass. 6079/2021, Cass. 32381/2019).
Da tali premesse la giurisprudenza ha, ad esempio, desunto che non si configuri automaticamente la condotta persecutoria in presenza di una successione di contestazioni e provvedimenti disciplinari, nemmeno nel caso in cui si siano rivelati, a seguito di una procedura di impugnazione, illegittimi. Affinché si configuri il mobbing, infatti, è necessario ottenere la prova concreta della finalità persecutoria e dell’attuazione da parte del datore o dei suoi collaboratori di una strategia di attacco mirato nei confronti del lavoratore ricorrente.
3. Una nuova frontiera. Lo straining
È sempre più frequente il riconoscimento da parte delle Corti di una forma più attenuata di mobbing, detto straining che si differenzia per il modo in cui è perpetrata la condotta illecita: non è necessario il carattere della continuità delle azioni vessatorie.
Dunque, la differenza fondamentale tra lo straining e il mobbing risiede nel fatto che nel primo caso siano sufficienti anche poche azioni isolate, mentre nel secondo la continuità delle azioni vessatorie costituisce un elemento imprescindibile.
Lo straining, ad esempio, si configura quando vi siano comportamenti stressogeni che producano effetti dannosi permanenti nel tempo, scientemente attuati nei confronti di un dipendente, anche se manchi la pluralità delle azioni vessatorie o esse siano limitate nel numero e distanziate nel tempo (Cass. 15957/2024).
Pertanto, è ravvisabile la violazione dell’art. 2087 c.c. nel caso in cui il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori ovvero ponga in essere comportamenti, anche in sé non illegittimi, ma tali da poter indurre disagi o stress che si manifestino isolatamente o si connettano ad altri comportamenti inadempienti, contribuendo ad inasprirne gli effetti e la gravità del pregiudizio per la personalità e la salute (Cass. 969/2023).
4. Profili processuali. Qualificazione della condotta come mobbing o straining
Un profilo interessante è sicuramente quello relativo alla possibilità che si verifichi una violazione dell’art. 112 c.p.c. in materia di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato nel caso in cui il giudice qualifichi come straining la condotta vessatoria denunciata dal lavoratore come mobbing.
Diverse pronunzie hanno chiarito che il vizio di ultra o extra petizione ricorre solo qualora il giudice si pronunci oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato e non quando venga diversamente qualificata la domanda o vengano poste a fondamento della pronuncia considerazioni di diritto diverse da quelle prospettate dalle parti.
Pertanto, non integra violazione dell’art. 112 c.p.c. l’aver qualificato la fattispecie come straining mentre in ricorso si sia fatto riferimento al mobbing, in quanto si tratta soltanto di adoperare differenti qualificazioni di tipo medico-legale per identificare comportamenti ostili, idonei ad incidere sul diritto alla salute. Ciò in considerazione del fatto che il datore di lavoro è tenuto ad evitare situazioni stressogene, che diano origine a una condizione che – per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale – possa ricondurre a questa forma di danno, anche in caso di mancata prova di un preciso intento persecutorio (Cass. 18164/2018).
5. Conclusioni
L’attenzione del datore a condotte mobbizzanti o comunque tali da realizzare un ambiente lavorativo stressogeno rientra nel generale obbligo di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro che impone di adottare tutte le cautele necessarie a proteggere la salute fisica e psichica dei dipendenti. Ciò anche quando il mobbing o lo straining non siano realizzati personalmente dal datore di lavoro, ma siano posti in essere dai superiori o dai colleghi della vittima, come si evince dall’art. 2049 c.c. in materia di responsabilità dei datori di lavoro anche per i danni causati a terzi da parte dei propri collaboratori nell’esercizio delle mansioni alle quali sono adibiti.
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avv. Wanda Falco
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