PintoPaga e giustizia lumaca: la Legge Pinto alla prova dell’efficienza

PintoPaga e giustizia lumaca: la Legge Pinto alla prova dell’efficienza

Sommario: 1. Come funzionano i risarcimenti? Il Progetto Straordinario PintoPaga – 2. La documentazione da presentare e la dimostrazione del danno – 3. Un aumento delle risorse e la facilitazione delle procedure – 4. E per le istanze presentate dopo il 2023?

 

La Legge Pinto (Legge n. 89 del 24.03.2001[1]) è entrata in vigore da oltre vent’anni come rimedio risarcitorio, voluto dal legislatore per fare fronte alla violazione del principio della “ragionevole durata del processo”, sancito dall’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU)[2].

Breviter, qualora un cittadino subisca un processo giudiziario civile, penale, amministrativo, tributario troppo lungo, ha diritto ad ottenere, previa richiesta, un risarcimento dallo Stato per irragionevole durata del processo. Orientativamente e con le specifiche processuali del caso di specie, si tratta di 3 anni per il primo grado, 2 anni per il secondo grado, 1 anno per la Cassazione.

A distanza di un ragionevole (per rimanere in tema) lasso di tempo, occorre però chiedersi quali siano stati i risvolti pratici della sua entrata in vigore e, soprattutto, se e quanti siano stati i risarcimenti pagati dallo Stato.

Premettendo che la Legge Pinto ha avuto effettivamente applicazione sin da subito, con le prime domande risarcitorie presentate presso le Corti d’appello territorialmente competenti, fin dai primi anni si sono riscontrati ritardi nell’attuazione della Legge per mancanza di linee guida uniformi con conseguenti ritardi nei pagamenti dei risarcimenti, che in alcuni casi hanno paradossalmente condotto a ulteriori cause per eccessiva durata del processo Pinto stesso.

Ritardi su ritardi hanno aumentato il quantum del risarcimento dovuto ai cittadini: un tipico esempio di serendipity burocratica “in negativo”: ciò che è uscito dalla porta, ossia il tentativo di risarcire i cittadini per le lungaggini processuali, è rientrato dalla finestra con nuove cause per il risarcimento da ritardo nell’ottenimento del risarcimento.

Certamente, la giurisprudenza tanto interna quanto internazionale ha avuto un ruolo fondamentale nel chiarire i criteri applicativi della Legge, dall’entità del risarcimento al concetto di durata ragionevole e al computo delle fasi processuali; ma ciò non è bastato per risolvere alla radice il problema.

1. Come funzionano i risarcimenti? Il Progetto Straordinario PintoPaga

Le procedure per i risarcimenti per irragionevole durata del processo sono coordinate dal Ministero della Giustizia, che provvede al pagamento tramite il capitolo 1264 del bilancio statale[3], gestito dal Dipartimento per gli affari di giustizia – “Direzione generale affari giuridici e legali”.

Negli anni i costi per lo Stato derivanti dai risarcimenti ex Legge Pinto sono stati significativi e, come si è fin da subito accennato, al problema del numero altissimo di richieste si è affiancato quello dei ritardi infiniti nei pagamenti degli indennizzi.

Questi due fattori hanno, da un lato, portato a diverse riforme volte a limitare le ipotesi di possibili abusi della Legge e, dall’altro, a cercare un rimedio per il ritardo nel pagamento dei risarcimenti.

Tra le riforme “contenitive” del ricorso alla Legge Pinto si annoverano la Riforma del 2012[4], che ha introdotto il requisito dell’esperimento del rimedio preventivo (il cittadino deve, pertanto, prima attivarsi per sollecitare la conclusione del processo, con un’istanza di prelievo o un’ accelerazione) prima di chiedere l’indennizzo per irragionevole durata del processo; la Riforma del 2014[5], che ha introdotto il tentativo obbligatorio di mediazione o negoziazione assistita in alcune materie prima di poter agire in giudizio proprio con l’obiettivo di ridurre la mole di cause e, di riflesso, le richieste di risarcimento da irragionevole durata del processo; la Riforma del 2015[6], che ha ridotto gli importi dell’indennizzo, concepito non più come automatico al superamento del termine di durata ragionevole.

All’opera del legislatore si è, altresì, affiancata quella della giurisprudenza della Corte di cassazione e della Corte dei conti che, con un approccio restrittivo, hanno sottolineato che non hanno diritto all’indennizzo ex Legge Pinto coloro che agiscano in mala fede o colpa grave, propongano ricorsi seriali o diano avvio a cause manifestamente infondate o bagatellari[7].

Se, però, questi interventi hanno cercato di bilanciare il diritto legittimo al risarcimento con l’esigenza di evitare un uso distorto della legge, non trasformandola in uno strumento per ottenere una sorta di “rendita giudiziaria”, coloro che, aventi diritto, hanno presentato correttamente la richiesta di risarcimento si trovano tuttora in una condizione di stallo, ulteriormente lesi.

Per fare fronte a questa seconda problematica, il Ministero della Giustizia il 01.01.2025 ha avviato il “Progetto straordinario PintoPaga[8], con l’obiettivo di azzerare in quasi due anni, ossia entro il 31.12.2026, un arretrato di circa 400 milioni di euro (comprensivi di capitale, interessi e spese legali), formatosi per gli 80.000 decreti di pagamento emessi dalle Corti d’Appello tra il 2015 e il 2022.

Ciò verrà fatto utilizzando la piattaforma digitale SIAMM Pinto Digitale, che ha l’obiettivo di migliorare attraverso la digitalizzazione e, dunque, la conversione della procedura cartacea in procedura informatica l’efficienza della procedura e di ridurre i costi associati ai ritardi nei pagamenti nonché ad accelerarne i tempi.

Dunque, per la gestione delle istanze di liquidazione, i beneficiari dovranno ripresentare le istanze di liquidazione, servendosi esclusivamente di questa nuova piattaforma digitale, in cui gli utenti andranno a caricare le proprie istanze nonché la documentazione necessaria entro il 30.06.2025.

Ancora un paio di mesi di tempo per richiedere quanto dovuto, insomma.

L’accesso alla piattaforma avviene tramite SPID o Carta Nazionale dei Servizi e tutte le comunicazioni relative alle istanze devono avvenire tramite la piattaforma. Risulta inutile, dunque, effettuare l’accesso o presentare richieste attraverso canali alternativi, quali la PEC o la posta elettronica ordinaria.

2. La documentazione da presentare e la dimostrazione del danno

Innanzitutto, specifica il Ministero di Giustizia sul sito ufficiale, è richiesta una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, corredata dalla relativa documentazione aggiornata e attestante che non si è già ricevuto indennizzo per lo stesso processo e che la domanda è stata presentata nei termini. A tale primo documento si devono affiancare i seguenti:

  1. copia integrale del provvedimento conclusivo del processo (sentenza, decreto, ordinanza);

  2. atti principali del processo (atto introduttivo, memorie, provvedimenti intermedi se rilevanti e via discorrendo);

  3. prova della data di inizio e di fine del processo (per esempio: fascicolo, registro di cancelleria, visure);

  4. documenti identificativi del ricorrente (carta d’identità e codice fiscale);

  5. procura alle liti (se rappresentato da un avvocato);

  6. documentazione a supporto del danno patrimoniale, solo se si chiede anche questo tipo di danno: quali fatture, relazioni, contratti, ecc.

Quanto all’ultimo punto occorre, infatti, precisare che secondo la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e della Cassazione italiana[9], il danno non patrimoniale derivante dall’irragionevole durata del processo è da ritenersi presunto e che, pertanto, non occorre provare il danno da stress, ansia, o disagio psicologico causato dalla lungaggine processuale, in quanto danno di per sé risarcibile.

Resta fermo che un’eventuale documentazione non può che rafforzare la richiesta e che, se è in possesso del richiedente, può sempre essere allegata (si pensi a certificati medici inerenti allo stato di salute).

Se il danno non patrimoniale è ritenuto presunto, non lo stesso si può dire per quello patrimoniale, che (al contrario) deve essere oggetto di una rigorosa prova documentale: fatture, documenti contabili, relazioni tecniche e così via discorrendo.

Per completezza di esposizione, occorre precisare che sulla questione della risarcibilità vi sono anche alcune sentenze contrastanti rispetto all’orientamento poc’anzi esposto. Si pensi ad una recente pronuncia della Corte d’Appello di Brescia, risalente al 24.01.2022, in cui la stessa ha sottolineato che il danno derivante dall’irragionevole durata del processo non è automatico, ma deve essere provato dal ricorrente, così evidenziando che la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo richiede la dimostrazione di un danno sia patrimoniale che non patrimoniale, non bastando la semplice constatazione della durata eccessiva del processo.

Tuttavia, si tratta di orientamenti minoritari.

3. Un aumento delle risorse e la facilitazione delle procedure

È, inoltre, stata stipulata una convenzione con Formez PA, società in house della Presidenza del Consiglio, per il reclutamento di 59 unità a tempo determinato per supportare l’elaborazione delle istanze nonché di personale addetto alla liquidazione delle somme attribuite ai richiedenti dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Tale intervento, che si inserisce all’interno di un piano più ampio di riforma del sistema giustizia, richiesto anche dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), non solo velocizzerà i tempi e ridurrà il numero di istanze, ma consentirà altresì un risparmio di circa 60 milioni di euro, derivante dalla riduzione degli interessi di mora e delle spese legali per i ritardi nei pagamenti.

Inoltre, la piattaforma digitale SIAMM Pinto Digitale consente ai beneficiari di verificare autonomamente lo stato della pratica nonché di modificare i dati necessari per il pagamento senza dovere prendere contatti con la struttura amministrativa: un ulteriore strumento fornito al cittadino per velocizzare i tempi, almeno in via teorica.

4. E per le istanze presentate dopo il 2023?

Per quanto riguarda i decreti depositati a partire dal 01.01.2023 continueranno a provvedere le singole Corti d’appello, ciascuna relativamente ai propri decreti di indennizzo.

Pertanto, la Corte d’appello territorialmente competente, che ha emesso il decreto Pinto, è anche responsabile della gestione successiva, ovverosia della notifica del decreto, della registrazione e trasmissione per il pagamento al Ministero dell’Economia e dell’eventuale esecuzione forzata se lo Stato non paga nei termini, dovendo così gestire anche le eventuali richieste dell’interessato e i suoi solleciti.

Sintetizzando, il ruolo di coordinamento della fase successiva all’emissione del decreto che, con il “Progetto straordinario PintoPaga”, è stato assegnato al Ministero di Giustizia, torna per i decreti emessi dal 2023 alle singole Corti d’appello.

In conclusione, il “Progetto straordinario PintoPaga” rappresenta solo l’ultimo passo legislativo in tema di Legge Pinto e la scadenza del 30.06.2025 sarà il termine a partire dal quale poter verificare la riuscita o meno di questo tentativo legislativo di porre rimedio ai numerosi ritardi accumulati.

In attesa di nuove evoluzioni, sarà utile consultare periodicamente il sito del Ministero di Giustizia, nella apposita sezione “Ministero della Giustizia – Legge Pinto”, per rimanere aggiornati sui dettagli e le novità.

 

 

 

 

 

 

[1] Id est “Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del Codice di procedura civile”.
[2] Art. 6 della CEDU – Diritto ad un processo equo. “1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale deciderà sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta. (…)”.
[3] Id est: “Somma occorrente per far fronte alle spese derivanti dai ricorsi proposti dagli aventi diritto ai fini dell’equa riparazione dei danni subiti in caso di violazione del termine ragionevole del processo”.
[4] Legge n. 134 del 07.08.2012 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, recante misure urgenti per la crescita del Paese”.
[5] Decreto-legge n. 132 del 12.09.2014 “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile”.
[6] Decreto-legge n. 83 del 27.06.2015, n. 83 “Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria”.
[7] Con la sentenza n. 19935 del 21.06.2022, la Corte di cassazione ha escluso la possibilità di riconoscere l’indennizzo previsto dalla legge Pinto in caso di abuso del processo, anche in assenza di una pronuncia di condanna per lite temeraria nel giudizio presupposto. Il giudice può valutare la consapevolezza dell’infondatezza della pretesa originaria sulla base di circostanze di fatto, anche se non formalmente accertate nel processo precedente.
[8] Si tratta di una modifica normativa inserita nella Legge n. 207 del 30.12.2024Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2025 e bilancio pluriennale per il triennio 2025-2027” (art. 1, co. 817-821).
[9]La Corte di cassazione (Seconda Sezione Civile, sent. n. 1070 del 20.01.2014) ha stabilito a chiare lettere che il danno non patrimoniale, quale conseguenza normale della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, si presume fino a prova contraria. L’onere di fornire prova contraria incombe, pertanto, sull’amministrazione resistente. Vedasi anche: Corte di cassazione – Prima Sezione Civile, sent. n. 1099 del 22.01.2010.

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