Trasparenza e privacy: due diritti regolati da norme di pari rango gerarchico
Nell’ordinamento italiano per espressa previsione normativa la trasparenza è intesa, secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013[1], così come modificato dall’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 97/2016[2], come “accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”, con la precipua finalità di garantire ai cittadini il più ampio margine di accesso nei confronti degli atti detenuti dalle Amministrazioni al fine di rafforzarne l’accountability.
Il principio di trasparenza regola in chiave democratica il rapporto tra pubblica amministrazione e cittadino ed è da intendersi come immediata e facile fruibilità dell’operato amministrativo agli stakeholder, oltre ad essere un fondamentale strumento di prevenzione della corruzione che consente di esercitare un controllo diffuso e generalizzato sul corretto e imparziale svolgimento dell’azione amministrativa.
Ad ogni modo, non si può considerare la trasparenza come un valore assoluto, non soggetto al bilanciamento con altri diritti e valori costituzionali, tra cui il diritto alla riservatezza.
Infatti, è lo stesso art. 1, comma 2, d.lgs. n. 33/2013 a prevedere che esistono dei limiti alla trasparenza in funzione di altri interessi protetti dall’ordinamento, che possono essere pubblici (segreto di Stato, segreto d’ufficio, segreto statistico) che privati (in materia di protezione dei dati personali).
Con particolare riguardo a questi ultimi, non si può non tener conto che, d’altro canto, le vari disposizioni normative sulla protezione dei dati personali che si sono succedute nel nostro paese hanno sempre fissato garanzie particolari per i trattamenti effettuati in ambito pubblico, anche al fine di bilanciare nella maniera più̀ corretta le esigenze di trasparenza dell’Amministrazione e la riservatezza dei cittadini.
In particolare, la questione del bilanciamento viene in rilievo quanto le Amministrazioni devono pubblicare dati/documenti/informazioni nella sezione “Amministrazione trasparente” dei propri siti istituzionali.
Il D.lgs. 33/2013 all’art. 9 prevede che nei siti istituzionali deve essere presente una sezione denominata “Amministrazione trasparente” dalla quale il cittadino deve poter accedere a tali dati, documenti e informazioni e le amministrazioni “non possono disporre filtri e altre soluzioni tecniche atte ad impedire ai motori di ricerca web di indicizzare ed effettuare ricerche” all’interno di essa.
Il Decreto Legislativo in questione seppur ha introdotto nel nostro ordinamento il concetto di accessibilità totale con la finalità di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, presenta inevitabili punti di contrasto con il diritto alla protezione dei dati personali.
Il Garante per la protezione dei dati personali ha più volte specificato che, se priva di adeguati criteri discretivi, la divulgazione di un patrimonio informativo immenso e crescente può comportare la diffusione di dati personali la cui conoscenza è inutile alla finalità della norma e può comportare danni verso il soggetto interessato.
Come indicato dal Garante nelle “Linee guida in materia di trattamento di dati personali, contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e da altri enti obbligati” del 15/05/2014[3], le Amministrazioni devono adottare misure preventive nei casi in cui effettuano attività di diffusione/pubblicazione di dati personali sui propri siti istituzionali per finalità di trasparenza o per altre finalità di pubblicità dell’azione amministrativa.
Le Linee Guida evidenziano altresì che i dati utilizzati devono essere aggiornati, indispensabili e, in alcun modo, deputati a diffondere informazioni sullo stato di salute. In questo contesto, anche alla luce di quanto previsto dal D.Lgs. n. 33/2013 in materia, è riconosciuto l’utilizzo dei cosiddetti “open data”, fermo restando anche in questo caso il limite del rispetto dei diritti fondamentali delle persone e il riconoscimento delle opportune garanzie per i soggetti più deboli.
Pertanto, l’Amministrazione prima di procedere alla pubblicazione, è tenuta prioritariamente ad utilizzare le seguenti modalità operative: individuare se esista un presupposto di legge o di regolamento che legittima la diffusione dei dati personali; verificare se ricorrono i presupposti per l’oscuramento di determinate informazioni; sottrarre all’indicizzazione i dati sensibili e giudiziari.
Tanto premesso, giova rilevare che tale rapporto “conflittuale” non trova soluzione nel nostro ordinamento in quanto i due diritti in questione (trasparenza/privacy) vengono regolamentati da due fonti normative di pari rango gerarchico.
È utile qui ricordare che nel nostro sistema delle fonti il criterio gerarchico sancisce la prevalenza della fonte di rango superiore rispetto a quella di livello inferiore, precludendo a quest’ultima di derogarvi o di porsi in contrasto con il contenuto della fonte sovraordinata, pena la declaratoria di illegittimità e la sua definitiva rimozione dall’ordinamento.
Il Legislatore conscio di tale “vuoto”, nel disegno di legge costituzionale del 2016 (pubblicato nella G.U. n. 88 del 15 aprile 2016) recante “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione”, apportava modifiche, per quanto qui di interesse, anche al secondo comma dell’art. 97 della Carta costituzionale “elevando” la trasparenza amministrativa a principio costituzionale.
In particolare, l’art. 97 della Costituzione sarebbe stato così modificato “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento, l’imparzialità e la trasparenza dell’amministrazione”.
Tale principio, in assenza di previsione costituzionale, è stato considerato dalla giurisprudenza e dalla dottrina costituzionale manifestazione dei principi di imparzialità e buon andamento già contenuti nell’articolo 97 Cost., ed è annoverato dalla normativa primaria tra i principi generali dell’attività amministrativa, insieme ad altri principi quali l’economicità, l’efficacia e la pubblicità (art. 1, L. n. 241/1990)
La modifica apportata all’art. 97 della Costituzione era finalizzata, in primo luogo, a prevedere che nell’ambito dell’organizzazione dei pubblici uffici il principio di trasparenza deve costituire uno dei principi cardine.
Giova rilevare altresì che, accanto all’introduzione della trasparenza tra i principi costituzionali sull’amministrazione nel corpo dell’articolo 97, l’articolo 32 del testo di legge costituzionale apportava modifiche all’articolo 118 della Costituzione, stabilendo che le funzioni amministrative sono esercitate “in modo da assicurare la semplificazione e la trasparenza dell’azione amministrativa, secondo criteri di efficienza e di responsabilità degli amministratori”
L’art. 118 sarebbe stato così riformato: “Le funzioni amministrative sono esercitate in modo da assicurare la semplificazione e la trasparenza dell’azione amministrativa, secondo criteri di efficienza e di responsabilità degli amministratori”.
Con tale previsione, elevando a rango costituzionale alcuni principi generali dell’azione amministrativa, tra i quali la trasparenza amministrativa, la stessa avrebbe avuto incidenza nei confronti di tutti i livelli di governo (Stato, Regioni, Città metropolitane, Comuni) e sicuramente avrebbe avuto un ruolo di supremazia sul principio di riservatezza.
La bocciatura del referendum costituzionale del dicembre 2016 ha determinato il perpetuarsi del perenne “conflitto” tra i dui diritti di pari rango gerarchico.
Conseguentemente, gran parte della dottrina ritiene opportuno “positivizzare” tale rapporto, tenuto conto che entrambi i principi sono espressione di interessi di rango primario e non vanno intesi, come apparentemente potrebbe sembrare, uno la negazione dell’altro.
In particolare, facendo un passo ancora in avanti, occorre evidenziare come il rapporto tra trasparenza e privacy debba essere visto in termini di armonizzazione delle rispettive normative e di bilanciamento degli interessi coinvolti.
Concludendo, riservatezza e privacy vanno concepiti quali componenti di una stessa vision delle attività pubbliche, incentrata sul rispetto e la centralità del cittadino-interessato, in veste di titolare di un doppio diritto: il diritto ad essere informato e a conoscere l’azione amministrativa e il diritto alla riservatezza rispetto ai dati personali eventualmente contenuti negli atti.
[1] D.Lgs. n. 33/2013 “Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”.
[2] D.Lgs. n. 97/2016 “Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”.
[3] Cfr. Garante Privacy “Linee guida in materia di trattamento di dati personali, contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e da altri enti obbligati” (Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 134 del 12 giugno 2014)
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